Intervista a Ceren Erdem

Intervista a Ceren Erdem

Il boom economico vissuto dalla Turchia negli ultimi quindici anni ha ridisegnato, tra le altre cose, anche il settore dell’arte e dell’architettura. In entrambi i campi, il settore privato ha assunto un ruolo guida e il mercato è divenuto il perno dell’intero sistema. Al contempo, però, si è assistito alla nascita di numerose iniziative in controtendenza: attività non-profit, spazi gestiti da artisti, collettivi di architettura, ecc. Quali credi siano le principali caratteristiche dell’attuale scena indipendente a Istanbul?

C. E.: Le ripercussioni del boom economico sull’arte e l’architettura non sono necessariamente equivalenti se analizzate in rapporto al mercato. L’architettura mainstream, in virtù della natura stessa di tale ambito professionale, si trova inevitabilmente costretta a lavorare gomito a gomito con l’industria edilizia. Nell’ambito di tale processo, alcuni studi di architettura hanno deciso di rinunciare a progetti di gentrificazione controversi quali, ad esempio, i centri commerciali. L’assenza di musei statali o strutture che godano del sostegno dell’amministrazione locale – come, ad esempio, le Kunsthalle – ha fatto sì che quei musei e istituzioni fondati da alcune delle principali aziende, istituti bancari o imprenditori della Turchia, abbiano costituito il fulcro della scena artistica contemporanea dell’Istanbul odierna. Questi, infatti, non solo apportano un importante contributo alla scena locale con i loro programmi di stampo internazionale, ma accolgono anche mostre di artisti turchi. D’altro canto, però, è altrettanto vero che alcune gallerie commerciali hanno aperto i battenti con estrema rapidità e con altrettanta velocità li hanno chiusi, con tutte le ripercussioni che ciò ha avuto sugli artisti.

Ad ogni modo, in Turchia il mercato non ha mai rappresentato un sistema di riferimento per l’arte contemporanea. Consapevoli di ciò, va detto che la diffusione di spazi gestiti da artisti e collettivi non va vista in contrapposizione alle strutture già esistenti sulla scena artistica, poiché a Istanbul quest’ultima è essenzialmente di stampo no-profit e prevalentemente indipendente, a prescindere dal sostegno di cui possa godere da parte delle imprese. A tale proposito, gli spazi indipendenti a cui facevi riferimento introducono il concetto di pluralismo, agendo da piattaforme per sperimentare nuove idee e per riunire assieme gli artisti, consentendo loro di operare in veste di collettivi.

Quali sono i gruppi e gli spazi indipendenti di maggior interesse attualmente attivi nell’ambito dell’architettura e dell’arte?

Piuttosto che stilare una classifica, preferirei citare alcune iniziative e collettivi che, nonostante le numerose sfide che si sono trovati ad affrontare, sono riusciti tuttavia a portare avanti il proprio programma. 5533 (imc5533.blogspot.com.tr) è un’iniziativa gestita da artisti nata nel 2007 presso il polo dell’industria tessile di Istanbul (Istanbul Manifaturacilar Çarşisi – İMÇ). Istituito dagli artisti Nancy Atakan e Volkan Aslan, la sua nascita coincide con l’utilizzo del complesso in questione per la Biennale di Istanbul – avvenuto, per l’appunto, nello stesso anno. MARSistanbul (www.mars-istanbul.com) è stata invece fondata nel 2010 dall’artista e scrittore Pınar Öğrenci. Nonostante un’interruzione delle attività tra il 2013 e il 2014, il programma espositivo di MARSistanbul, così come i dibattiti e le performance sono ora ripresi. Protocinema (www.protocinema.org), fondato da Mari Spirito nel 2011, allestisce mostre site-aware in tutto il mondo. Con sedi a Istanbul e New York, crea opportunità per artisti sia emergenti che già affermati provenienti da qualunque regione, in città in cui le loro opere non abbiano ancora goduto di molta visibilità. PASAJ (pasajist.wordpress.com) è gestito da due artisti, due operatori culturali e un curatore e accoglie progetti artistici impegnati nel sociale e di carattere partecipativo di artisti sia locali sia internazionali. BAS (www.b-a-s.info) è un altro spazio gestito da artisti avviato da Banu Cennetoğlu nel 2006, il quale riunisce, mostra e produce libri e pubblicazioni di artisti. L’ultima iniziativa che vorrei ricordare in questa sede è m-est.org, una pubblicazione on-line concepita da Özge Ersoy e Merve Ünsal e incentrata sugli artisti.

In ambito architettonico, nel 2011 un gruppo di architetti neolaureati e di studenti di architettura hanno fondato il collettivo Architecture For All Association (http://blog.herkesicinmimarlik.org/), impegnato nell’ideazione di soluzioni architettoniche e di design in risposta a problematiche socio-culturali in tutta la Turchia. Ad altri livelli, negli ultimi anni alcuni architetti e urbanisti hanno aderito a gruppi solidali che lavorano per preservare e apportare delle migliorie alle fattorie urbane, alle aree verdi pubbliche, alle foreste e ai siti storici, sia dentro che fuori Istanbul.

Assumendo una prospettiva storica, com’è evoluta la scena indipendente a Istanbul negli ultimi quindici anni?

Negli ultimi quindici anni, a Istanbul si è registrato un flusso costante di spazi artistici e iniziative indipendenti. Se nei primi anni del XXI secolo abbiamo assistito alla nascita di alcuni spazi progettuali gestiti da artisti, già da qualche anno alcuni di loro hanno modificato il proprio modus operandi trasformandosi in gallerie commerciali, mentre altre iniziative si sono dissolte. Credo che il boom di gallerie avvenuto alla fine dello scorso decennio abbia avuto delle ripercussioni sia sugli spazi no-profit sia su quelli commerciali. Mano a mano che le gallerie internazionali e locali di Istanbul hanno iniziato a chiudere i battenti, il mercato e, insieme con esso, la promozione dell’arte contemporanea, per un certo periodo hanno perso di vigore – cosa che, a mio parere, ha giocato a favore degli artisti e della loro attività. Questa situazione ha indotto tutti a credere più fermamente in ciò che producevano e in come lo facevano invogliandoli, di conseguenza, a esporre. Recentemente, grazie a una scena artistica caratterizzata da una nuova generazione di artisti sempre più attivi, si ripongono grandi aspettative in queste nuove energie e per la scena indipendente si aprono nuove prospettive.

Cosa significa essere “indipendenti” oggi e chi può essere definito tale nella Turchia odierna? C’è qualche tipo di legame tra le diverse voci indipendenti?

Credo significhi perseguire idee, condurre ricerche e progetti relativamente a quelli che sono dei quesiti che ci si pone in relazione al contesto in cui si vive, cercando di creare un proprio spazio – sia questo fisico, digitale, su carta, ipotetico o altro – così da formalizzarne i passaggi e l’esecuzione. Significa anche essere capaci di pensare e agire liberi da ogni costrizione.

Nel seguire tale approccio, per poter mantenere la propria indipendenza è essenziale rifuggire da ogni dipendenza di carattere economico. Sono molti gli artisti, gli architetti, i creativi, i ricercatori e i pensatori che in Turchia lottano per la propria indipendenza. Attraverso nuove forme organizzative, tali voci indipendenti si sono raccordate tra loro dando vita a molteplici collettivi.

Detto ciò, ritengo che il concetto d’indipendenza non debba necessariamente limitarsi agli aspetti organizzativi ed economici. Ad esempio, lo spazio artistico DEPO, creato da Anadolu Kultur e i suoi soci, riveste un ruolo cruciale nel dar spazio alle voci indipendenti della Turchia. Le risorse generosamente stanziate da SALT sono anch’esse significative per la ricerca indipendente. Collectorspace è stato creato da un collezionista e il suo programma si pone in dialogo con collezioni di tutto il mondo.

L’esistenza di voci indipendenti è sempre influenzata da vari fattori (politici, economici, ecc.). Quali credi siano le criticità più rilevanti oggi?

Un fattore chiave nel contesto della nascita e perpetuazione d’iniziative indipendenti sono le risorse economiche. I fondi pubblici destinati al mondo artistico sono estremamente esigui e, di questi, all’arte contemporanea non spetta alcuna quota. Pertanto, l’unico modo di sopravvivere per le iniziative indipendenti è o fare domanda per borse di studio internazionali – se e quando si hanno i requisiti necessari – oppure affidarsi al sostegno di singoli collezionisti d’arte.

Ciò nonostante, in entrambi i casi, per far sì che l’iniziativa continui a essere quanto più no-profit e indipendente possibile, occorre ricercare soluzioni maggiormente creative. Questa realtà economica è chiaramente il risultato delle politiche del governo. Inoltre, dal fronte politico, le voci critiche sono state rilegate in angoli sempre più ristretti. Ho tristemente notato che questo ha iniziato a ripercuotersi sulle decisioni individuali di esibire opere di forte critica. Ciò non implica forzatamente un’auto-censura; tuttavia, a volte il solo senso di preoccupazione è sufficiente a generare espressioni artistiche più caute.

Grazie alla sua ubicazione geografica, la città di Istanbul gioca un ruolo chiave nei rapporti tra Oriente e Occidente. La recente crisi (in primis, la guerra in Siria e la crisi dei rifugiati) ha ancora una volta dimostrato l’importanza della città da tale punto di vista. In che modo la geografia di Istanbul ha influito sullo sviluppo della scena indipendente, anche alla luce dello scenario internazionale?

Credo che la Biennale di Istanbul abbia apportato un grande contributo nell’ottica dello sviluppo della scena artistica contemporanea in Turchia. Essendo stato il primo, nonché il principale evento artistico della regione, il fatto che l’interesse internazionale fosse puntato sulla città ha incoraggiato la scena indipendente locale a promuovere le proprie idee.

Recentemente, con circa 400.000 siriani che vivono a Istanbul, sono iniziati a emergere nuovi spazi e collettivi artistici, come ad esempio Hamisch – una casa culturale siriana – Pages e arthere.