Intervista a Emanuele De Donno

Radical Intention

Quali sono le strategia per garantire autonomia progettuale in relazione a possibili richieste di enti e sponsor, hai sperimentato delle metodologie di negoziazione fra le istanze di autonomia che i progetti richiedono e le esigenze di produttori o committenti?

Più che strategie sono abiti ed attitudini ad inquadrare in un lavoro culturale o editoriale l’ente come una entità, un soggetto che non si configura come sponsor ma come partner. In questo modo si costruisce un’etica del programma, un’idea di committenza co-responsabile della produzione. Una parte della negoziazione così, si risolve tenendosi in una via di mezzo tra partecipazione e “conflitto” naturale in cui si deve difendere l’autonomia, non si deve nascondere la crisi del progetto e dello “scambio” delle parti.

All’interno di un processo interdisciplinare quali sono i principi di coerenza progettuale e concettuale che muovono le tue pratiche, quale pensi che sia il punto di forza della tua pratica e quale il punto debole?

Intermedialità ed interdisciplina consente un uso di linguaggi e dispositivi aperti, porosi e generosi. La dimensione che si instaura è di un progetto complesso ma disponibile alle ramificazioni ed alle condizioni al contesto (una ecologia che costituisce il punto di forza di un percorso artistico “aperto” in sito). L’inter-connettività è dunque una questione analogica, di risorse umane che si pongono ad un livello “inter-medio” a partire dalle loro pratiche “basse” e specialità “alte”.

La coerenza viene da questa logica di mediazione per cui viene costruita una piattaforma, un’opera-base di design provvisionale e neutro in grado si ospitare le idee diverse, i partecipanti, i soggetti abitanti parte di uno spazio collettivo partecipato. Il punto debole di questa “scultura sociale” è proprio nel concetto ambiguo e “violento” della partecipazione, spesso politicamente strumentalizzata, nodo ormai critico e dibattuto del processo di costruzione di qualsiasi democrazia e comunità operativa.

Che tipo di relazione e che strategie avete attuato per la distribuzione delle edizioni da te autoprodotte con l’agenzia Olandese Idea Books, come descriveresti la situazione delle autoproduzioni e distribuzione italiana?

La distribuzione è un concetto che si prevede a monte, già installato in una idea di libro che come ricerca deve avere contenuti “leggibili e diffondibili”. Con il nostro distributore di fiducia (olandese) inoltre si crea una consultazione preliminare all’uscita per un pre-accordo di massima.

Si risolve con il cosiddetto contratto di pre-acquisto che di fatto dà vita alla pubblicazione, proprio perchè la fa esistere nella distribuzione dei bookshop indipendenti e museali internazionali.

Le “auto-produzioni” proliferano ma spesso “auto-referenziali” e mal distribuite, a volte dipendono da “co-produzioni” di finanziamenti pubblici che, sopratutto in Italia, limitano il raggio di azione di un libro “istituzionale”. L’ultimo fenomeno ormai consolidato che ha reso più dinamica la circolazione di questi beni è la rete dei festival di editoria indipendente e creativa, una interessante distribuzione “compensatoria” per il territorio italiano della sub-editoria indipendente e di ricerca artistico-culturale.

Nel volume Sportification Eurovision Performativity and playground emerge un’attitudine al gioco, al surreale, mediato da contesti dal forte sapore dadaista e situazionista che sembra aver intrattenuto e formato l’immaginario di una comunità, credi che queste manifestazioni abbiano contribuito a delineare e costruire uno spirito e un immaginario di comunità europea? credi che il gioco e una visione fantastica possano consolidare l’unione di un gruppo o di una comunità? Cosa è andato perduto di questa pratica cosa ad oggi è recuperabile?

La “sportificazione” è avanzata man mano che la “grande comunità europea” si è andata a costituire. Abbiamo coniato questo neo-logismo, per definire un terreno di indagine critica che investisse i livelli di consumo dello spazio pubblico agonistico mediatico ma anche e sopratutto dell’immaginario politico. L’archivio dei “Giochi senza Frontiere” che abbiamo usato in questo libro ci ha consentito di declinare questa teoria critica a partire da un bagaglio di immagini “leggere”, filtrando così il “discorso negativo” con lo show televisivo, l’agonismo ludico e lo sguardo artistico.

Quelle immagini sono infatti ancora vive in quanto artistiche. Nel recupero “vivente” dell’archivio si indaga la perdita di alcune istanze del “gioco democratico” con una riattivazione performativa tra arte-gioco-sport di uno spazio pubblico “non colonizzato”. Il tema centrale è il playground, soluzione non di una comunità “agonistica” europea monolitica, ma costituita da più campi-gara, più avventure urbane, situazioni ludiche specifiche a più quartieri, a più città. In questa logica della micro-comunità si può recuperare la potenzialità del gioco come utopia.

Biografia
Emanuele De Donno, architetto, è il fondatore di VIAINDUSTRIAE, collettivo e associazione nata nel 2005 per promuovere progetti di ricerca artistica e design innovativo. Manufatto In Situ è il workshop da lui ideato e curato con cui promuove operazioni cooperative e co-generative tra intervento architettonico-paesaggistico e istanza curatoriale artistica. Il suo campo di intervento architettonico, definibile nell’ambito del “critical design”, parte da un fronte teorico da cui scaturisce un progetto critico dello spazio sociale e della città.
All’interno degli interventi sul paesaggio ha sviluppato collaborazioni fertili con artisti e architetti come Hidetoshi Nagasawa, Tania Bruguera, A Constructed World, Raqs Media Collective… Nell’ambito degli habitat dal 2008 avvia una serie di librerie pratiche (practical library in collaborazione con Mael Veisse) applicate in una serie di mostre sul libro d’artista delineando un approccio collaborativo di “platform design” InbookOTbookIFbook capace di coinvolgere altri progettisti attraverso spunti interdisciplinari tra letteratura e architettura. Questo tipo di programma di design modulare deriva appunto da una ricerca sui vari protocolli del libro (apertura, consultazione, lettura, esposizione). A partire da un display proposto nel 2012 per la mostra “The practical function of 12 networked publications with 4 books, 2 posters and 1 chart” è nato un catalogo e un programma di design collaborativo con artisti del libro, designer ed architetti.

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