Ci rivediamo!
 riconoscimento | relazione | azione

Testo di Elena Bellantoni e Manuela Contino Progetto Grafico Elena Bellantoni e Fiamma Franchi

un workshop di Wunderbar Cultural Projects nell’ambito di The Independent

A cura di Elena Bellantoni e Manuela Contino in collaborazione con Radical Intention

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È ancora possibile utilizzare il termine spazio no profit a Roma? Dove sono? Che cosa fanno? Crescono o si consumano? Hanno voglia di comunicare tra di loro?

Esiste una realtà sistemica, una capacità organizzativa, in grado di innescare processi, per modificare o creare nuove pratiche e adattarle a un modello innovativo e sostenibile di fare cultura?

Il nostro compito è stato quello di diventare un aggregatore tra i cosiddetti “spazi off dell’arte” sperimentando, nell’arco temporale di un pomeriggio, un metodo di lavoro di gruppo, un esercizio d’intelligenza collettiva[1], per creare una nuova piattaforma di scambio attraverso una mappa di posizionamento.

Abbiamo pensato a una lista infinita di nomi ognuno con una storia e un obiettivo differente, a collettivi di combattenti, a un mosaico di esperienze eclatanti viste nascere e morire nell’arco di una stagione, a una frammentazione di realtà che alle volte non conoscono dell’esistenza l’una dell’altra, a meteore, a progetti che invece e nonostante tutto hanno continuato nel tempo a scrivere la loro storia e quella del territorio a cui appartengono.

Come profilare la situazione in una città dove ogni attività sfugge a un piano programmatico, in cui manca una prospettiva unitaria e di sistema, di una città che raramente si muove secondo regole ben precise?

Bene, ci siamo dette, se è troppo complicato rintracciare tutti e tanti attori di questo sistema frammentato fatto di troppi kilometri quadrati – quartieri che si dividono tra nord, sud ed est – marcando nettamente i suoi confini dal punto di vista culturale e sociale, allora la nostra mappa non sarà più fisica e geografica ma mentale: fatta di parole e di percorsi identitari.

A noi interessa dunque la città, come enorme corpo in movimento, capace di ibridarsi, per restituire il valore generato dalle sue attività al territorio, di contenere necessità e desideri della comunità interessata[2].

È nato così il workshop Ci Rivediamo! il cui obiettivo è stato quello di provare a capire quali sono le ragioni e le urgenze che tessono il territorio romano, innescando un processo collaborativo e creando un tavolo di lavoro condiviso situandolo nel sistema culturale della città[3].

Ogni realtà si è posizionata sulla mappa definendo la propria identità attraverso alcune parole chiave che appartengono alla sfera della progettazione culturale e al processo di creazione artistico. In questo modo, ognuno si è presentato agli altri, facendo emergere una città disgregata dal punto di vista della proposta nel contemporaneo.

Sebbene gli attuali strumenti di partecipazione offerti dalla contemporaneità (da quelli tecnologici, all’intensificarsi delle piattaforme e dei dispositivi di reti collaborative anche on-line) dovrebbero contribuire a un indebolimento delle forme l’individualismo, molti dei cosiddetti progetti culturali partecipativi si limitano a un aspetto formale della questione, faticando a sviluppare un senso comunitario o promuovere l’innovazione.

Le realtà coinvolte nel workshop, seguendo un display appositamente creato e rispondendo in maniera operativa a una serie di questionari, hanno interagito fra loro, sviluppando progetti per diversi luoghi ipotetici sparsi nella città e maturando al contempo una proposta per un nuovo modello di comunità.

Alla fine degli anni Ottanta del Novecento si è sviluppato tanto in Italia quanto in Francia un dibattito sulla categoria di comunità che ha messo in discussione un paradigma tipico della filosofia contemporanea, per il quale essa veniva intesa come quella sostanza che connette determinati soggetti tra loro nella condivisione di una comune identità. In questo modo la comunità appariva concettualmente legata alla figura del “proprio”: che si trattasse di appropriarsi di quanto è comune o di comunicare quanto è proprio, la comunità restava definita da un’appartenenza reciproca. I suoi membri risultavano avere in comune il loro proprio, essere proprietari del loro comune[4]. Contro questo cortocircuito concettuale si ponevano una serie di testi[5] quali La comunità operosa di Jean-Luc Nancy, La comunità inconfessabile di Maurice Blanchot, La comunità che viene di Giorgio Agamben e Communitas. Origine e destino della comunità di Roberto Esposito, per i quali la comunità rimandava a una sorta di alterità costitutiva che la sottraeva a ogni connotazione identitaria.

Il concetto di comunità è molto ambiguo e complesso e viene inserito all’interno del discorso sulla globalizzazione che ha prodotto una società appiattita, creando ‘solitudine e disagio’, afferma Bauman[6]? Possiamo capire le ragioni per cui l’individuo ha sviluppato un bisogno di aggregazione e riconoscimento reciproco. Esistono comunità per tutta la vita oppure al contrario per un solo giorno; queste rispondono a un’urgenza di spaesamento tra il desiderio di uno spazio individuale e quello di far parte di un gruppo. Bauman nel suo testo Voglia di Comunità analizza il rapporto tra individuo e società, tra singolo e collettività.

La comunità sopravvive al locale, definisce il luogo in cui siamo nati, l’ambiente che ci rassicura, la comunità ci vincola, protegge, essa è solida e presente, anche esigente. La società è il mondo intero, lo spaesamento e la solitudine.

La domanda che possiamo porci è la seguente: in che modo la comunità può renderci liberi? La comunità nei fatti genera solidarietà ma nella stessa “classe” di individui; essa, infatti, crea uniformità, siamo solidali quando condividiamo gli stessi problemi. Chi vive in comunità assume una stessa uniforme. Si crea un rapporto ambiguo tra l’inclusività della comunità e l’esclusività dell’identità. In questo senso la comunità diventa una gabbia, quasi un vincolo.

Community è la parola del secolo! Una delle etimologie del termine cum-munus, con-dono, indica la comunità come relazione e non come sostanza; come espropriazione e non come appropriazione. Comune è ciò che non è proprio. Se pensiamo a una definizione di questo termine, viene spontaneo pensare a parole come: bene comune, appartenenza, dove la caratteristica appunto, è quella di avere in comune.

A noi interessa rovesciare questa prospettiva – seguendo il pensiero di Roberto Esposito [7] – e indicare come comunità una serie di membri che non sono uniti da una proprietà ma al contrario accomunati da un “debito”, una mancanza che consiste nel donare qualcosa di sé agli altri. La comunità che prospettiamo noi nasce da uno svuotamento della proprietà, forza il soggetto ad alterarsi a uscire da se stesso. Per questo, secondo noi, dobbiamo alterarci!

In che modo? Attraverso una proposta per incontri regolari di diverse parti interessate della città per co-creare[8] e co-decidere e pianificare azioni, lavorando su piattaforme open source e laboratori di innovazione, per iniziare a ri-conoscerci e a porre le basi per la proposta di un modello per portare innovazione culturale e sociale nella nostra città. Il soggetto della comunità diventa quindi “non soggetto” al rischio della perdita della propria individualità per scivolare nel niente. Questo niente diventa l’elemento costitutivo della comunità nel momento in cui essa non è più un soggetto collettivo, ma diventa relazione e incontro[9]:

“Allora…quando Ci Rivediamo?”.

WUNDERBAR Cultural Projects è un’associazione culturale nata dalla condivisione di intenti di 5 professioniste del mondo della creatività, dell’arte e della cultura: 2 artiste visive, 2 project manager culturali, 1 graphic designer. Progettiamo e realizziamo attività sostenibili, che possano avere un impatto di innovazione sociale sul territorio attraverso l’offerta e l’utilizzo di metodologie basate su strumenti culturali, creatività e partecipazione. Wunderbar crede in una precisa linea di pensiero che vede l’Arte, la Cultura e l’Educazione come importanti strumenti di conoscenza e di ricognizione del presente in cui viviamo.

www.wunderbarproject.it

mappaWUNDERBAR-GARIBALDI

Hanno preso parte al workshop:

 

MELTING PRO

È una organizzazione che supporta enti nell’elaborazione di strategie, progetti e modelli finalizzati allo sviluppo di territori, comunità e persone. Facilita alleanze, costruzione di reti e collaborazioni tra enti a livello nazionale e internazionale. Realizza ricerche e attività nei seguenti ambiti: rigenerazione urbana; audience development; empowerment e formazione per il settore culturale.

www.meltingpro.org

SGUARDO CONTEMPORANEO

Associazione formata da storici dell’arte e curatori, la cui ricerca e operato sono orientati all’allargamento e differenziazione dei contesti dedicati all’arte, alla sua produzione e fruizione, alla riflessione sul rapporto tra arte e tessuto sociale e urbano della città, dei suoi quartieri e del suo patrimonio culturale, alla promozione e realizzazione di progetti con approccio site specific e socially engaged.

www.sguardocontemporaneo.it


FONDAZIONE TURCATO

Nasce con la mission di favorire maggiore interesse pubblico nel ruolo dell’artista come agente di trasformazione sociale. Tra i suoi obiettivi, quello di creare una rete di conoscenze per suscitare un dialogo culturale inclusivo attraverso programmi didattici. Traendo ispirazione dal lascito dell’artista, la Fondazione si pone come un luogo in cui far convergere progetti su: processo creativo, scienze, politica, ecologia, disagio psichico e diversità.

http://turcato.org/

SPAZIO Y

Luogo indipendente dedicato alla ricerca e alla sperimentazione in ambito contemporaneo è punto di incontro per artisti e operatori del settore culturale, invitati di volta in volta ad interagire con il contesto  in cui lo spazio si trova e agisce. Creato nel 2014 da un collettivo di artisti ha organizzato più di trenta eventi producendo lavori site specific, progetti di arte relazionale, azioni e performance.

www.spazioy.com


THERE IS NO PLACE LIKE HOME

È un progetto itinerante nato a Roma nel 2014. Il nome include metaforicamente il carattere nomade dell’iniziativa e, al contempo, la volontà di costruire mostre in stretto dialogo con lo spazio prescelto, fino a trasformarlo – nell’arco di tempo interessato – in un punto culturale vivo, di attivazione e valorizzazione del luogo stesso e cornice-contenitore della visione degli artisti di volta in volta invitati. https://www.facebook.com/thereisnoplacelikehomeproject/

Zip_Zone d’intersezione positiva

Nasce dall’incontro di professionisti appartenenti a differenti campi, mossi dalla comune convinzione che la Cultura, l’Arte e i suoi diversi generi espressivi possano dimostrarsi strumento di azione e creazione, in tutti gli ambiti della società. Progetta e realizza percorsi, attività, momenti di confronto e di crescita, ma anche eventi ricreativi e di aggregazione, rivolgendosi a tutti i cittadini.

www.zipart.it

ECOLLECTIVE

La “e” di ecollective si riferisce a educazione, esperienza, energia, elaborazione, e-generation. Promuove la conoscenza dei linguaggi artistici contemporanei presso un pubblico differenziato: l’arte diventa strumento di analisi, riflessione ed espressione. L’indagine del mondo dell’arte contemporanea genera nuove capacità di ascolto e stimola creatività che, in un apprendimento collaborativo, arricchisce il nostro quotidiano.

www.ecollectiveassociazione.com

NATION 25

Nation25 è una piattaforma artistica-curatoriale fondata nel 2015 da Elena Abbiatici, Sara Alberani e Caterina Pecchioli,  che cerca di far luce sulle esperienze di migrazione, invisibilità e ciò che esse attivano. Il nome si riferisce alla 25a Nazione sulla terra, una nazione immaginaria ma reale, costituita dai 60 milioni di individui costretti a lasciare il loro paese per motivi di guerra, violenza razziale e di genere. Nation25 contrappone al principio di cittadinanza per geografia, la cittadinanza sulla base di diritti e necessità comuni.

www.nation25.com

LA FORMA DEL PATHOS

La Forma del Pathos si configura come una piattaforma di confronto e riflessione sulla performance nelle arti visive nella città di Roma. Il nucleo iniziale è formato da cinque artisti e un curatore – Gianluca Brogna – ma il gruppo di lavoro ha incluso progressivamente ulteriori artisti visivi e non solo (teatro e danza). Elemento caratterizzante è la scelta del luogo dove si svolgono le azioni performative, abbandonando lo spazio espositivo museale per il teatro.

[1] Pierre Levy (2004) ha affermato che l’intelligenza collettiva è un’intelligenza costantemente stimata, coordinata in tempo reale e che porta a un’efficace mobilitazione delle competenze. È condivisa e dunque valutata.

[2] La città intesa come luogo di valorizzazione dell’intelligenza collettiva dei suoi abitanti invoca un cambiamento di paradigma in grado di produrre un set di strumenti procedurali e operativi per coloro che vogliono accettare la sfida di ribaltare una visione sterile e poco innovativa. Abbiamo bisogno di definire un nuovo terreno di gioco per una visione alternativa più proficua, capace di rinnovare e potenziare il ruolo della città come piattaforma abilitante delle capacità umane, come acceleratore di empowerment e come moltiplicatore del capitale umano, Maurizio Carta, The Augmented City. A paradigm shift, 2017.

[3] L’approccio individualista alla creatività sopravvaluta il ruolo dell’individuo e delle sue capacità (il mito del genio). Al contrario, l’approccio socio-culturale sottolinea il ruolo svolto dal contesto nel processo di creazione: società, culture e periodi storici. Di conseguenza, l’individuo è visto come un membro di molti gruppi sociali sovrapposti, ognuno di essi ha una propria rete, con struttura e organizzazione specifiche, che influenzano la creazione di reti (e potenzialmente di idee creative). Ogni individuo è anche un membro di una cultura, che gli fornisce le categorie usate per capire il mondo. Infine, ogni individuo è rappresentativo di un periodo storico specifico. La creatività è quindi “situata” in contesti specifici…

Managing Situated Creativity in Cultural Industries Fiorenza Belussi & Silvia Rita Sedita, 2008.

[4] Cfr. R. Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Torino, Einaudi, 1998.

[5] Sul versante sociologico A. Bonomi, Sotto la pelle dello Stato. Rancore, cura, operosità, Milano, Feltrinelli, 2010 utilizza la categoria della comunità per descrivere la fase attuale della politica italiana.

[6] Zygmunt Bauman, uno dei pensatori più acuti del nostro tempo, recentemente scomparso. Più noto per le sue folgoranti definizioni di una modernità in cui tutto è “liquido” (la vita, l’amore, la paura stessa), tutto sfuggente, inafferrabile, per dirlo con una parola oggi molto abusata “precario”. Nel suo libro Voglia di comunità (Laterza, Roma-Bari 2001) sottolinea questo desiderio di comunità quasi istintuale che torna con forza per compensare l’insicurezza di fondo che è il paradigma di mondo globalizzato, all’insegna della liberalizzazione, della flessibilità, della competitività e dell’individualismo. Tuttavia in questa ricerca di comunità, che corrisponde a un ineludibile ed ancestrale bisogno umano, rimaniamo sempre aggrappati a qualcosa che ci sfugge di mano. “Così continuiamo a sognare, a tentare e a fallire“, scrive Bauman. E purtroppo siamo sempre meno consapevoli che questo destino riguarda tutti, non solo ognuno nella sua sfera personale. “Ciascuno di noi consuma la propria ansia da solo, vivendola come un problema individuale, il risultato di fallimenti personali e una sfida alle doti e capacità individuali”, sottolinea ancora il sociologo.

In questi ultimi anni notevole è stata la partecipazione e il contributo teorico di Zygmunt Bauman al dibattito sulla globalizzazione. Dopo aver analizzato accuratamente l’era post-moderna e le conseguenze della globalizzazione sugli individui (su cui si veda il volume Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 1999), in questo volume Bauman si concentra, in particolare, sulla dimensione collettiva di tale processo: sugli attuali limiti e le difficoltà realizzative cui va incontro la richiesta di una comunità vivibile tra gli uomini; una richiesta da considerare tuttavia come un’esigenza e un bisogno fondamentali. Bauman vuole mostrarci l’avvenuta dissoluzione delle “vere” comunità (contadine, artigianali, di commercianti, ecc.) e il tormento e supplizio di dover vivere attanagliati dall’insicurezza, anelando però sempre, come i discendenti di Adamo ed Eva, alla comunità ideale, sognata.

Bauman in questo saggio breve e compatto esplora la nostra voglia di comunità. Un desiderio quasi istintuale che torna con forza per compensare l’insicurezza di fondo che è il paradigma di mondo globalizzato, all’insegna della liberalizzazione, della flessibilità, della competitività e dell’individualismo. Tuttavia in questa ricerca di comunità, che corrisponde a un ineludibile ed ancestrale bisogno umano, rimaniamo sempre aggrappati a qualcosa che ci sfugge di mano. “Così continuiamo a sognare, a tentare e a fallire“, scrive Bauman. E purtroppo siamo sempre meno consapevoli che questo destino tocca a tutti, non solo ad ognuno nella sua sfera personale. “Ciascuno di noi consuma la propria ansia da solo, vivendola come un problema individuale, il risultato di fallimenti personali e una sfida alle doti e capacità individuali”, sottolinea ancora il sociologo. Così cerchiamo soluzioni personali a contraddizioni sistemiche, la salvezza al singolare da problemi che si possono forse risolvere solo collettivamente, ripiegandoci sulle nostre risorse e alimentando ancora di più l’insicurezza nel mondo degli “altri da noi”, gli estranei.

Il sogno comunitario ci semplifica apparentemente la vita perché fa sì che ognuno di noi si relazioni solo con i suoi “simili”, in ambiti in cui per identità comune può sentirsi meno solo e circondato dalla “protezione” e dal riconoscimento che solo un gruppo omogeneo può offrire. Anche se ciò significa escludere dalla nostra sfera di interesse non solo ciò che non ci riguarda, ma ampi margini della nostra stessa libertà di poter essere “altro” rispetto all’immagine che ci siamo costruiti per relazionarci agli altri.

Ciò che davvero servirebbe, invece, per ritrovare le fondamenta su cui costruire un senso vero di comunità è, secondo Bauman, innanzitutto una reale parità di risorse senza la quale siamo cittadini di fatto, ma non di diritto e, in secondo luogo, e l’assicurazione collettiva contro le sventure e le disgrazie individuali. Purtroppo il pensiero unico della nostra società se ne infischia di tali propositi e proclama apertamente che sono controproducenti, finendo per far ricadere sul singolo individuo il peso dei suoi insuccessi così come quello della “creazione” di un destino sulla base di un fragile e necessariamente insufficiente volontarismo. Però, come ci ricorda Bauman in questo breve e intenso libro, in cui si affrontano le sfide che attengono al nostro tempo prima fra tutte quella del passaggio dall’uguaglianza alla multiculturalità, se mai può esistere ancora una comunità nel mondo degli individui può essere soltanto una comunità “responsabile, volta a garantire il pari diritto di essere considerati esseri umani e la pari capacità di agire in base a tale diritto”.

[7] L’analisi di Esposito si appunta sull’etimologia del termine latino communitas: in essa infatti si annida l’impensato della comunità, la sua verità paradossale. Riportando qui in estrema sintesi la fine ricerca di Esposito sull’etimo (per un approfondimento: cfr. Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998, 2006, pp. X-XIII) si può dire che da essa risulta che il termine munus (da communitascum – munus) significa originariamente dono inteso come dovere, come obbligo e in ultima analisi denota ciò che non è proprio, il contrario del proprio, ciò che inizia là dove finisce il proprio.
«Il munus che la communitas condivide non è una proprietà o una appartenenza. Non è un avere, ma, al contrario, un pegno, un dono-da-dare. E dunque ciò che determinerà, che sta per divenire, che virtualmente già è, una mancanza» (Ibidem, p. XIII).

[8] Banks & Potts, (2010) dopo aver definito i due modi in cui la co-creazione potrebbe funzionare nel mondo culturale – come un prodotto dell’associazione tra incentivi e istituzioni esistenti, o come l’emergere di un nuovo modello di produzione – sono giunti alla conclusione che un terzo modello sarebbe necessario per integrare gli scambi di mercato nel mondo della produzione culturale. Questo modello dovrebbe essere in grado di combinare sia la logica di mercato (incentivi, contratti, modelli di business) che il campo culturale (concetti di identità, sviluppo sociale).

[9] Secondo Esposito (cfr. Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998, 2006 p. XIV) ciò che lega i soggetti nella comunità, dunque, non ha nulla di rassicurante, non viene avvertito da essi come indolore, poiché sembra caratterizzarsi come la loro fine, la loro morte. Da questa insidia deriva la tentazione, poi tradottasi in realtà nella filosofia moderna, di far fronte al pericolo del munus procedendo alla sua immunizzazioneImmunitas nel nuovo lessico filosofico proposto da Esposito è il termine opposto a communitas. Proprio l’opposizione di questi due termini gli consente di tentare una lettura rinnovata del pensiero filosofico sulla comunità e di riscrivere così una parte della storia della filosofia.