Un arcipelago di fronte al Mar Mediterraneo: la frammentata fascia costiera settentrionale d’Israele

Nilly R. Harag, Ziv Leibu

Se si percorre l’autostrada che corre lungo la costa israeliana, l’occhio può essere tratto in inganno e venire distratto dai panorami bucolici che costeggiano il mare, rischiando così che il paesaggio culturale e le conflittuali narrative storiche del luogo – caratterizzato dalla frammentazione, dalla polarizzazione e dalla pluralità -, passino inosservati. Esemplificativo di ciò è lo stretto lembo di terra incastonato tra il mare da un lato e l’autostrada dall’altro, a metà strada tra Tel Aviv e Haifa. Una delle aree più note di questa striscia di terra accoglie al suo interno tre diverse realtà circondate da resti archeologici, riserve naturali, strade ed aree di mediazione. Queste entità culturalmente e morfologicamente in contrasto tra loro sono: Kibbutz Ma’agan Michael, la periferia di Caesarea e, nel mezzo, la città araba di Jisr a-Zarqa. Mediante la perlustrazione del sito, la nostra intenzione è quella di interrogarci sul ruolo della tanto discussa città araba, quale isola in espansione indirizzata verso una potenziale esplosione sociale.[1]

L’analisi storica aiuta a fare un po’ di luce su come sia evoluto il processo di frammentazione che ha interessato quest’area. Jisr a-Zarqa fu fondata nel XIX secolo, quando le due principali tribù beduine s’insediarono nell’area adiacente alle paludi di Kabara. Tuttavia, il luogo in cui si stanziarono non era completamente sgombro, essendo circondato da resti archeologici come quelli dell’antica Caesarea, le infrastrutture idriche di origine romana di cui la stessa era dotata e dei reperti di epoca ellenistica lungo il Crocodile River, nella parte settentrionale del villaggio. Queste rovine, assieme a degli sviluppi abitativi più recenti promossi dallo Stato d’Israele, funsero da piattaforma territoriale per il conseguimento di obbiettivi nazionali.

Durante il Mandato Britannico per la Palestina, l’autorità sionista consolidò una strategia territoriale basata sulla continuità degli insediamenti lungo la fascia costiera. Tale sviluppo disomogeneo avvenne mediante il rafforzamento delle città e ristabilendo vecchi e nuovi insediamenti, kibbutz, autostrade e l’industria. Dopo la costituzione dello Stato d’Israele, il dipartimento governativo dell’urbanistica organizza un piano nazionale finalizzato a frammentare tali sviluppi abitativi mediante città, insediamenti e infrastrutture. Il dipartimento circoscrisse inoltre una rete di parchi nazionali: delle riserve naturali che integravano la tutela dei siti archeologici nei nuovi scenari che si stavano delineando. C’era impellente bisogno di zappare, scavare, piantare e riprogettare così da plasmare l’identità nazionale modellandola nello spazio, il tutto mentre si eliminavano i resti degli sparpagliati insediamenti palestinesi. [2]

La giustapposizione di una mappatura critica e di un’analisi storica consente d’identificare un sistema territoriale imposto su quella specifica area per mediare ideologie politiche e socio-economiche. Parchi nazionali, spiagge protette, siti archeologici, attrazioni turistiche e collegamenti viari: elementi che servono al tempo stesso a dare visibilità e a separare. Questa ricerca si concentra su tre spazi principali corrispondenti ad altrettanti realtà territoriali attraverso cui ha origine un Arcipelago che segna una nuova realtà liminale: l’autostrada litoranea, la riserva naturale del Crocodile River e il terrapieno.

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(a) Veduta aerea del Kibbutz Ma’agan Michael, la moderna città di Caesarea e, nel mezzo, il villaggio arabo di Jisr a-Zarqa. Fonte: Google mappe.
  1. L’autostrada litoranea: barriera come entrata

L’autostrada litoranea israeliana fu costruita all’indomani della costituzione dello Stato di Israele e rappresenta una delle principali infrastrutture viarie dei tempi moderni, collegando Tel-Aviv al nord del Paese. Tuttavia, se da un lato velocizza gli spostamenti lungo la costa di chi ne usufruisce, questa strada favorisce anche un processo di stratificazione sociale. Massima esemplificazione di tale fenomeno è il fatto che un tratto di strada sia ubicato sulle dune che dominano Jisr a-Zarqa. Nonostante la vicinanza a cui si trova questo paese, non vi è alcun collegamento diretto con l’autostrada. Situato al di sotto di essa, l’accesso al paese è garantito dall’angusta strada (principale) che collega gli abitanti del posto a una lontana circonvallazione. Pertanto, chi degli abitanti desideri recarsi a nord o a sud del Paese, è costretto a percorrere molti chilometri di questa circonvallazione per poi tornare in prossimità del punto di partenza: l’autostrada. Oltre a mantenere le distanze, l’autostrada funge anche da frontiera, limitando l’espansione del paese in direzione est, ovvero dei terreni agricoli. L’autostrada ha pertanto un valore fisico e uno simbolico, essendo al tempo stesso una barriera e un ingresso. Questa soglia rappresenta quindi una linea netta che sta bruscamente trasformando la percezione di chi se ne serve quotidianamente per muoversi tra le varie realtà, rafforzandone al contempo le contraddizioni.[3]

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(b) Un modello – Jisr a-Zarqa appare come un’isola lungo l’autostrada litoranea. Anna Ivaleva
  1. La riserva naturale del Crocodile River: l’affermazione del paesaggio storico

Come già si è detto, il villaggio di Jisr a-Zarqa è circondato da diverse fonti d’acqua e infrastrutture idriche: i resti della storica palude di Kabara, l’acquedotto romano e il Mar Mediterraneo ad ovest e a sud, i laghetti di pesca del kibbutz Ma’agan Michael a nord e il Crocodile River che si snoda lungo il villaggio attraversandolo. In passato il Crocodile River era noto come storica rotta marittima e, oggigiorno, questo sito archeologico custodisce dei resti risalenti alle epoche ellenistica, romana e bizantina. Dopo che le due tribù beduine originarie si stanziarono in quest’area, il fiume funse anche da fonte d’acqua utilizzata dagli abitanti del villaggio per fini sia privati che agricoli.

Quando, nel 1948, fu dichiarato lo Stato di Israele, il Crocodile River, essendo uno dei più rilevanti siti paesaggistici, fu adattato alla narrativa sionista. I siti archeologici offrivano inoltre un ulteriore incentivo, vale a dire il “miglioramento” dei siti stessi, stabilendo al contempo dei legami storici con la terra santa. Quando il sito archeologico romano di Caesarea divenne un parco nazionale, iniziò ad abbracciare un’area più estesa del litorale rispetto al passato, includendo anche il corso del fiume e i resti dell’Acquedotto. Questi reperti archeologici naturali consentirono al nuovo Stato di Israele di preservare il paesaggio e di tutelare non solo il sito romano di Caesarea, ma anche tutta l’area che da lì si riusciva a scorgere. Quando il sito fu dichiarato parco naturale, tra gli abitanti di Jisr a-Zarqa e i vicini insediamenti ebrei s’innescò immediatamente un processo di eliminazione. Quando la nuova narrativa si impossessò del sito, la popolazione di Jisr a-Zarqa si ritrovò tagliata fuori dalla sua stessa storia e, al contempo, le fu impedito di accedere a un luogo di cui si era servita per intere generazioni.

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(c) Schema dell’Arcipelago: 1. l’autostrada litoranea 2. Il Parco Nazionale del Crocodile River 3. Il terrapieno 4. La riserva costiera naturale. Estrella Castiel (d) Il Parco Nazionale del Crocodile River. Mais Abdelhai.
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(e) L’Acquedotto (parte del sistema idrico romano) che si snoda all’interno del sito.

Fonte: Google immagini.

  1. Il terrapieno: a metà tra artificiale e organico

Nel 2003 la (moderna) CDC (Caesarea development Company) iniziò a costruire un argine che avrebbe separato il quartiere sud-orientale di Caesarea da Jisr a-Zarqa. Venne eretta una barriera lunga circa un chilometro e alta cinque metri, la quale fu poi seminata così da sembrare parte integrante del paesaggio, mascherando lo scopo per cui era stata eretta: la sua pura funzione di barriera. Questa barriera artificiale “crebbe” con somma sorpresa di chi abitava da uno dei due lati del muro, mentre per chi abitava dall’altro lato si trasformò presto in un nuovo strumento di segregazione. Per potenziare e giustificare questa divisione territoriale tra le due entità socio-politiche, il terrapieno fu fatto passare per barriera acustica e fisica, la cui presenza era volta a impedire il passaggio di veicoli a motore, creando al contempo non pochi problemi anche ai pedoni. Quest’atto violento fu perpetrato nonostante le negoziazioni che erano intercorse tra le due comunità, durante le quali si era proposta la progettazione di un parco che fungesse da zona di mediazione. Nel tentativo di minimizzare il danno, il consiglio di Jisr a-Zarq suggerì di mantenere una zona cuscinetto liminale[4] di circa 50 metri all’interno della riserva di Caesarea, oppure di ridurre l’altezza della fortificazione. Tuttavia i lavori proseguirono e presto tutto ciò si trasformò in realtà.

Sul versante che affaccia su Caesarea, il verdeggiante terrapieno “naturale” forma un artificioso sfondo pittoresco che serve a nascondere – e quindi eliminare – una realtà altra e diversa. Di fatto, l’idea di creare una collina naturale, organica, ecologica e rigogliosa si è tradotto nell’erezione di una barriera di segregazione. Vista da Caesarea, ricorda un cartellone pubblicitario, mentre per i vicini abitanti di Jisr a-Zarqa oltre che ostruire il passaggio dell’aria, costituisce anche un ostacolo visivo.

In conclusione, nonostante l’imposizione di questa divisione geografica, queste due realtà tra loro opposte stanno dando origine a una terza realtà. La distanza che intercorre tra l’autostrada litoranea, il Crocodile River e il terrapieno rappresenta la realtà liminale che può essere fatta propria solamente occupando lo spazio interstiziale, facendo sì che subentri un nuovo ordine a fare da tessuto connettivo artificiale.

Una recente visita ha rivelato che è in atto una nuova sofisticata evoluzione, di fatto innescata da alcuni scavi realizzati nei pressi dei siti archeologici che custodiscono i resti dell’acquedotto romano, parallelamente al terrapieno. Sembra come se quest’atto di scissione, così netto in superficie, debba ora fare i conti con il disseppellimento di una storia sepolta. Alla fine di questo processo (l’affermazione del paesaggio), riteniamo che la fascia costiera dichiarata riserva naturale potrebbe ulteriormente ampliarsi verso il distretto meridionale del villaggio. Se così fosse, si assisterebbe all’unificazione di un sistema ininterrotto di riserve e parchi nazionali, mentre la divisione e il rafforzamento dell’Arcipelago continuerebbero lungo la propria strada.

Fonti:

Brutzkus Leonid, “Aims and Possibilities of Regional Planning,” Habinyan-a magazine of architecture and town-planning August, 1938, 30-36.

Efrat Zvi, “Tavnit”, The Israeli Project: Building and Construction (Tel-Aviv Museum of Art, 2004) 992-1018

Gregotti, Vittorio, “The Form of the Territory” in: Oase Magazine: On Territories, issue 80, Tom Avermaete, Klaske Havik, Hans Teerds ed. (Netherlands 2009)

Handel Ariel. “Traffic”, in The Planners: directions in the Israeli planning discourse, ed Tali Hatuka and Tovi Fenster (Tel-Aviv: Resling, 2013) 249-260.

Lissovsky Nurit, “Spread you with rugs of gardens: Landscape Forms Identity”, in Arcadia: The gardens of Lipa Yahalom and Dan Zur, ed Nurit Lissovsky and Diana Dolev. (Tel Aviv: Babel, 2012) 81-97.

[1] Questo documento si basa su delle fonti storiche e sull’analisi del territorio svolta dal Liminal Architecture Studio del Dipartimento di Architettuura presso la Bezalel Academy of Art and Design di Gerusalemme 2016-17.

[2] Nurit Lissovsky, “Spread you with rugs of gardens: Landscape Forms Identity”, in Arcadia: The gardens of Lipa Yahalom and Dan Zur, ed Nurit Lissovsky and Diana Dolev. (Tel Aviv: Babel, 2012) 81-97.

[3] Stando all’attuale Master Plan, l’autostrada dovrebbe essere deviata ad est per permettere l’ampliamento dei confini del villaggio, ma è improbabile che ciò avvenga poiché l’autostrada è ubicata su una base geologica di pietra arenaria. Ogni ampliamento richiederebbe la costruzione di solide fondamenta all’interno delle dune.

[4] Liminale: 1884, dal latino ‘limen’ , ovvero “soglia”

(vd. limite (n.)) Grande scoperta! limitare (v.) fine XIV s.., dal Francese antico limiter “segnare (un limite), restringere; specificare,” dal latino limitare “confinare, limitare, fissare,” da limes “confine, limite” (vd. limit (n.)). Correlati: limitato; limitante..

limite (n.) c.1400, “confine, frontiera,” dal Francese antico limite “un confine,” dal latino limitem (nominativo limes) “un confine, un limite, una frontiera, un argine tra dei campi” correlate a limen “soglia” Originariamente detto del territorio; significato generale dagli inizi del XV s. L’accezione colloquiale di “il massimo estremo, il più alto grado immaginabile” risale al 1904.