Antiuniversity Now – Apprendimento radicale come azione diretta

Shiri Shalmy per conto di Antiuniversity Now

Sono all’incirca 5.000 le persone che, da novembre 2015, hanno partecipato ai tre diversi festival della Antiuniversity Now, prendendo parte ad oltre 320 eventi pubblici auto-organizzati da circa 450 ospiti, da Saint Ives nella Cornovaglia a Glasgow in Scozia.

A fare le veci dei padroni di casa non erano né degli esperti né degli accademici e agli ospiti non è stato richiesto di superare alcun esame né di pagare una quota di partecipazione. Non vi era alcun iter da seguire per la presentazione delle domande e nessuna di queste è stata respinta.

La programmazione prevedeva sessioni sulla pratica femminista fai-da-te, l’archiviazione radicale, la salute mentale sotto il capitalismo e la cosmologia moderna, nonché laboratori su come organizzare uno sciopero degli affitti, lezioni di nuoto, performance sonore sperimentali, una lettura partecipata della commedia greca Lysistrata, una partita di calcio a tre schieramenti, un evento anti-monarchico sulla linea metropolitana Victoria line e una passeggiata nei dintorni dello stabilimento nucleare Sizewell 2.

Mentre gli organizzatori lavoravano sotto la bandiera della Antiuniversity Now, la maggior parte delle persone non si conoscevano tra loro e noi, i tre co-organizzatori, prima di allora non avevamo mai incontrato gran parte degli altri anfitrioni. In realtà, non ci saremmo mai aspettati che così tante persone conoscessero il nostro progetto, indipendentemente dall’enorme quantità di tempo speso e di sforzi profusi nel pianificare così tanti eventi.

Il progetto è nato da una domanda: quali dovrebbero essere le caratteristiche di una Antiuniversity al giorno d’oggi?

Solo di recente, grazie a un progetto di ricerca promosso dall’ Hackney Museum, i tre fondatori e co-organizzatori avevano appreso l’esistenza della Antiuniversity of East London del 1968 ed era loro intenzione indagare in merito al peso avuto da questo movimento storico nell’ottica dell’attuale stato dell’educazione superiore.

Nel 1968 giovani di tutto il mondo esprimevano il proprio dissenso contro un sistema politico stagnante e violento e un sistema educativo conservatore che si limitava a riprodurre dei saperi ormai obsoleti, mostrandosi carente di qualsiasi riflessione critica e ignorando totalmente i reali bisogni dei giovani. Dalle Pantere Nere e dal movimento di opposizione alla Guerra del Vietnam negli Stati Uniti, alle occupazioni per mano di studenti e lavoratori in Francia, dal Messico a Praga, una generazione intera stava combattendo contro il razzismo, il sessismo, il colonialismo e la violenza dello Stato. Un nuovo ordine mondiale esigeva un nuovo ordine accademico.

Vero e proprio prodotto di quegli anni, la Antiuniversity originaria fu costituita nel febbraio del 1968 a Shoreditch, allora quartiere operaio e oggigiorno area di Londra totalmente gentrificata. Alla sua guida vi era l’accademico americano Joseph Berke il quale, ispirato dalla conferenza sulla Dialettica della Liberazione tenutasi l’anno precedente presso la Roundhouse di Camden, riunì un gruppo di accademici, scrittori e artisti per dare vita a un’istituzione che non conosceva precedenti.

Antiuniversity offriva corsi impartiti da figure di spicco dell’epoca, come C.L.R. James, John Latham, Juliet Mitchell, R.D. Laing e Stuart Hall, secondo un format concepito per rompere quegli schemi imposti da istituzioni quali scuole e università, fornendo “un’alternativa all’università contemporanea con i suoi ‘studenti in batteria’, abituati a ingozzarsi delle informazioni con cui vengono alimentati allo scopo di produrre delle uova fruibili dal sistema”. La brochure elencava corsi come sociologia della guerrilla (John Cowley), potere nero (Obi Egbuna), la politica dei piccoli gruppi (Leon Redler) e draghi (Francis Huxley). Il costo d’iscrizione era di £8 e l’inserto che figurava sul giornale diceva “nessun requisito formale”.

Fu operativa per tutti e nove i mesi e – ad eccezione del programma – si sa poco riguardo ai corsi effettivamente svolti e al numero degli studenti frequentanti. Chi per una ragione chi per un’altra, tutti i membri dello staff e i relatori esterni ebbero dei diverbi, l’amministrazione era caotica e la mancanza di finanziamenti comportò in ultima istanza lo sfratto dall’edificio di Rivington Street.

Per quanto ognuno fece del proprio meglio, la Antiuniversity non riuscì nel proprio tentativo di rivoluzionare il mondo accademico creando un nuovo ordine globale, ma lasciò tuttavia un retaggio.

Nei successivi 50 anni, l’istruzione superiore subì una trasformazione totale. Le istituzioni mainstream ora offrono regolarmente corsi in studi postcoloniali, teoria queer o pratica transculturale, ma se da un lato i curricula (ancora prevalentemente bianchi ed eurocentrici) consentono ufficialmente a un’eterogeneità di voci di esprimersi, le università hanno assunto le sembianze di spazi commerciali, parte integrante di quello stesso sistema che i loro dipartimenti di ricerca criticano spietatamente. La nostra cultura politica ha inghiottito l’anti-cultura svuotandola della sua essenza.

La triplicazione delle tasse universitarie, il declino dell’istruzione e l’interruzione della concessione di borse di studio, così come la chiusura o privatizzazione dei corsi di base sono tutti tasselli di una stessa strategia volta ad escludere i membri della classe operaia dall’istruzione o, quanto meno, a far sì che questi s’indebitino pesantemente per il resto della loro vita. Un nuovo piano Tory volto a criminalizzare chi non sarà in grado di ripagare i prestiti studenteschi farà sì che l’istruzione superiore diventi un’opzione viabile solamente per i più privilegiati.

In nome della crescita e sotto la bandiera dell’austerità – una forma mutata di violenza coloniale ripiegata su di sé, spesso colpendo le vittime stesse – le università divengono parte di una campagna premeditata ed estremamente crudele volta a schiacciare ogni forma di dissenso attraverso la sottomissione economica di un’intera generazione.

In aggiunta, il mondo accademico partecipa in ulteriori forme di colonialismo: la costruzione inarrestabile di alloggi destinati ad ospitare quegli studenti internazionali in grado di pagare tasse più alte determina lo sgombero della classe operaia dai centri urbani. L’introduzione dell’EBacc – causa della diminuzione dei finanziamenti pubblici e di un’accentuata precarietà delle condizioni lavorative nel settore culturale- che scoraggia attivamente gli studenti più poveri a seguire studi artistici o umanistici, farà sì che la cultura e i media britannici risentiranno della mancanza di voci di estrazione operaia.

Com’è ovvio, questi scenari non sono imputabili alle università: sono piuttosto il risultato di circa 40 anni di capitalismo neoliberale e delle molteplici forme di violenza ad esso intrinseche e correlate. Ci si chiede quindi se nel 2018 l’istruzione superiore sia ancora in grado di divenire essa stessa parte della soluzione a tale situazione anziché continuare a far accrescere i problemi. L’aula – improvvisata, auto-organizzata, informale e spontanea – può divenire luogo di mobilitazione prendendo il posto dei cancelli delle fabbriche?

Abbiamo istituito la Antiuniversity nel 2015 allo scopo di sfidare le gerarchie accademiche e di classe attraverso l’invito a insegnare ed imparare qualsiasi materia, in qualsiasi forma e in qualsiasi luogo.

Si tratta di un esperimento collaborativo volto a rivisitare e reinventare la Antiuniversity del 1968, attraverso un programma di eventi ispirati da idee, persone e attività della Antiuniversity dell’East End londinese.

Mediante la realizzazione di spazi auto-organizzati volti a consentire la condivisione dei saperi, ci auguriamo di riuscire a promuovere un’alternativa rispetto alle 9.000 sterline per anno universitario, di creare dei siti spontanei di resistenza e mobilitazione e di sfidare il sistema della mercificazione, dell’emarginazione, dell’austerità e dello stato di violenza inteso in senso ampio.

Diversamente dalla Antiuniversity originaria, non abbiamo una base permanente, uno staff fisso o un elenco di studenti, né tantomeno siamo spinti dal desiderio di avviare una nuova istituzione. Difatti, il progetto vuole de-istituzionalizzare l’istruzione e dare a chiunque la possibilità di condividere – mediante l’insegnamento, l’apprendimento e, a volte, tramite la combinazione di entrambi – quelle abilità e quegli scambi di idee che le università ‘classiche’ non offrono più.

Naturalmente, non siamo i primi ad aver ideato un modello del genere. Scuole gratuite, aule occupate, circoli di lettura, educazione tra pari, scambio di abilità… siamo in debito con tutti coloro che lo hanno fatto prima di noi e che, ancora oggi, portano avanti progetti del genere in tutto il Paese. Dal 2015 collaboriamo con gruppi quali il Radical Education Forum, la Open School East, l’Alt MFA, la Nomad Art School o il Kingdom, per citarne alcuni, e collaboriamo con sempre più persone ed organizzazioni che mettono in atto modelli rivoluzionari attraverso un insegnamento e un apprendimento collettivi. Il numero di gruppi radicali attualmente attivi nel Regno Unito è sbalorditivo e, di per sé stesso, è indice del fatto che stiamo giungendo al punto di maturazione.

Tuttavia, diversamente dalla maggior parte degli altri gruppi che dedicano tempo e risorse allo sviluppo di contenuti radicali (scrivendo testi, pubblicando riviste, organizzando dibattiti e guidando manifestazioni), la Antiuniversity esiste solamente in qualità di piattaforma. Non organizziamo eventi, né programmiamo attività. Il nostro programma si cura da solo. Ciò che facciamo è offrire una cornice e un contesto all’interno dei quali le persone possano immaginare, organizzare e gestire i loro propri eventi.

Recentemente ci è stato chiesto di descrivere la Antiuniversity, ed è stato allora che ci siamo ritrovati a utilizzare parole come attivatore, facilitatore, catalizzatore. Certamente non curatore.

Anche l’anarchia è spesso al centro delle nostre riflessioni e gran parte di ciò che facciamo segue dei principi anarchici: auto-organizzazione, assenza di gerarchie, lavoro collettivo, strutture parastatali, opposizione ai valori capitalistici, creazione di alternative, politica prefigurativa, istituzioni, lavoro autonomo, azione piuttosto che richiesta di autorizzazioni…

La Antiuniversity non è dotata di una costituzione stabile: piuttosto, è plasmata da tutti coloro che decidono di aderirvi, vuoi in qualità di organizzatori, di anfitrioni o di ospiti.

Tuttavia, ciascuna delle nostre attività è radicata nel desiderio collettivo di creare e sostenere degli spazi autonomi sicuri per l’apprendimento radicale che siano ispirati e alimentati da valori socialisti, femministi, antirazziali, antifascisti, antiomofobi e antitransfobici, di opposizione alla colonizzazione e anticapitalistici, valori a cui dare espressione mediante la conversazione e l’azione diretta.

www.antiuniversity.org

@Antiuniversity / www.facebook.com/antiuniversityofeastlondon/

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Radical Intention, Dazibao, THE INDEPENDENT, MAXXI, 2017